Storia

Santo Stefano Ticino si trova in uno dei sei contadi in cui era diviso un tempo il territorio appartenente a Milano, cioè quello verso il Ticino chiamato Burgaria. E’ situato al centro del triangolo Ossona-Vittuone-Corbetta; il nome deriva probabilmente da una cappella costruita in questa zona e dedicata a Santo Stefano Protomartire. La specificazione “Ticino” è stata aggiunta col solo scopo di distinguerlo dagli altri 55 Santo Stefano esistenti in Italia.  

Nel XIII secolo Goffredo da Bussero, tra le chiese facenti parte della Pieve di Corbetta, pone anche la cappella di Santo Stefano. Nel 1275 uno dei conti Borri di Corbetta ottiene questa località insieme ad altre terre per i servizi resi ai Visconti.  Il borgo è nato come una tipica corte agricola lombarda con stalle, magazzini e botteghe che costituivano un organismo omogeneo e compatto cui si accedeva da un unico portone, che veniva aperto all’aurora e chiuso al calar del sole.  Nel XVII secolo gli Spagnoli, penetrati in Santo Stefano, rimaneggiarono alcuni edifici già esistenti, come il palazzo della contessa Parravicini e ne costruirono di nuovi, alcuni dei quali ancora sopravvivono.

La data certa e anche la più importante della storia di Santo Stefano è il 25 Settembre 1610 quando, in seguito a una petizione degli abitanti, il Cardinale Federico Borromeo staccò Santo Stefano da Ossona e lo costituì parrocchia autonoma. Questo fatto è di importanza vitale perché il luogo incominciò da allora ad acquistare una certa autonomia e ad interessarsi di alcuni problemi del convivere sociale. Nel 1650 gli abitanti di Santo Stefano si riscattarono dall’infeudazione, ma nel 1672, non riuscendo ad assolvere tutti gli obblighi, dovettero assoggettarsi al senatore Borri, che divenne conte di Santo Stefano.  Esso consisteva in un piccolo centro abitato autonomo con la casa padronale, le celle dei servi, la corte dei contadini, la caseria per la lavorazione del latte e la falegnameria, dove venivano fabbricati gli attrezzi agricoli.  Nel 1861 il comune passò alla provincia di Milano. 

                    

A differenza dei grossi centri abitati, dove il commercio e l’artigianato si erano ormai diffusi, nella nostra zona ci fu un importante sviluppo dell’agricoltura, nonostante questa fosse ancora tecnicamente arretrata e con redditi bassi.  Tutto si riduceva a una vita primitiva: nutrirsi, vestirsi e avere un posto per riposare di notte.  Il paesaggio naturale, con un duro lavoro di disboscamento, veniva trasformato e messo a coltura.  Si coltivavano cereali, soprattutto i prodotti come segale, avena, miglio e farro, che costituivano i primi alimenti.  Il livello culturale era molto basso: l’insegnamento era affidato al clero che, oltre alla religione, insegnava a leggere, scrivere e fare i conti. La vita del borgo era scandita dai ritmi intensi del lavoro al quale si dedicavano tutti, anche i bambini, dal mattino alla sera.  Gli abitanti si sentivano parte di un unico gruppo perché animati dai sentimenti di generosità e di semplicità che li spingevano ad aiutarsi vicendevolmente. La forza del paese stava nell’unione dei suoi abitanti.